“…con la sabbia negli occhi”
“Sono nato con la sabbia negli occhi. Quel giorno il tezakey, il vento di sabbia, sbarrava l’orizzonte con un muro scuro e rossastro, e gli animali, schiena contro vento, si stringevano silenziosi intorno alle tende dell’accampamento”. Così inizia la bellissima autobiografia di Mano Dayak, leader delle rivolte Tuareg per l’indipendenza degli anni ’90. Un uomo del deserto più grande e più bello del pianeta: il Sahara. 9.000.000 di chilometri quadrati (quasi quanto gli Stati Uniti), che si allargano ancora di più, se si considera la fascia del Sahel, dove la desertificazione avanza al passo di quasi 1 chilometro all’anno e dove un paio di stagioni senza pioggia possono trasformare la savana in deserto. Un enorme spazio che per lo più appare vuoto, ma che in realtà è percorso di vita. Te ne accorgi quando, fermo sotto un’acacia solitaria, in una piana desolata, vedi un puntino in lontananza che si ingrandisce rapidamente e ti ritrovi improvvisamente un paio di bambini nomadi sbucati da chissà dove a osservarti curiosi. Pastori nomadi, piccoli villaggi, cittadine, oasi, qua e là un brulicare inatteso di vita, che lotta costantemente, col vento, la sabbia, il clima. Nel mio girovagare per il Sahara non ho incontrato solo rocce e dune, ma anche tanti volti: a volte seri e diffidenti, altre curiosi e aperti. E le loro povere ma dignitose abitazioni: capanne, case fatte di quattro muri e un tetto di lamiera, piccoli villaggi sommersi dalla sabbia…e la vita in questa specie di luogo marziano, dove i cammelli convivono con le jeep e le motorette e tutto si mescola in un incredibile caleidoscopio. Questi scatti, realizzati per lo più con un cellulare e ora post-prodotti in stile polaroid, sono quasi appunti di viaggio…un moderno “cahier de voyage”, dedicato a loro, quelli nati “…con la sabbia negli occhi”.